L'altro giorno ho rivisto una mia zia lontana.
Cioè, non l'ho incontrata, è su Facebook anche lei: alla veneranda età di ottanta anni posta cartoline da gesùcristo e invia cuoricini fluorescenti (chissà quanto le devono sembrare avveniristici).
Ma non voglio parlare della mia vecchia zia e del suo maldestro ingresso nel mondo dei giòvani (maldestri).
Voglio parlare delle sue rughe: sì, le sue rughe.
Guardavo una sua foto e quelle rughe mi hanno riportato a quindici anni fa, no più indietro, alla mia infanzia, un link impazzito alla Avatar, ho aperto gli occhi ed ero davanti a mia nonna.
Ecco, mia zia assomiglia in modo terribile a mia nonna, anzi no, non le assomiglia, mia zia è mia nonna, sullo schermo c'era lei, la vecchina che mi ha cresciuto a suon di massime e di lanci della ciabatta (grande campionessa di sempre).
Per voi che leggete tutto questo non è niente più che un ricordo, un banale flash su un'infanzia qualunque.
Ma per me no: quella foto mi ha schiaffeggiato, è arrivata veloce e improvvisa come una delle ciabatte di mia nonna, è arrivata insieme ai miei passi di bambina, al corridoio immenso che facevo di corsa per la paura del buio, alla casa della mia infanzia, al cortile dei giri in bici, tutti uguali, tutti in cerchio, alle ortensie che tagliavo per i miei giochi, alle voci delle donne alle finestre (cheffai, delinguente!) a quella di mia nonna (è pronto, saliii) ai suoi moniti, ai suoi proverbi, ai suoi ricordete che, ai miei non ricorderò, non mi importa.
È arrivata qui, fino al mio ora ricordo e adesso mi importa.
Non credo che esista nulla, ma poi immagino tu sia qui.
Se non altro sei nel mio volto, in quelle che un giorno saranno le mie rughe.
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